Strage di Ustica, fu un atto di guerra
Conclusa l’inchiesta del giudice Priore, forse saranno
rinviati a giudizio alti ufficiali dell’Aereonautica
«Attorno al volo di linea ci fu un conflitto aereo»
(La Stampa – 31 ago)
Sui cieli di Ustica, la sera del 27 giugno 1980, c’erano numerosi aerei
militari, molto probabilmente impegnati in un’azione di guerra. 
Velivoli la cui nazionalità sarà difficile stabilire con assoluta sicurezza
anche perché l’intenso traffico presente intorno al Dc9 dell’Itavia, esploso
in volo alle 20,59, è sempre stato negato dai nostri vertici dell’Aeronautica
militare e dalle forze alleate. 
Ma, dopo oltre 19 anni, un gruppo di ex alti ufficiali dell’Arma azzurra
potrebbe comparire davanti a una Corte di Assise di Roma per rispondere
dei depistaggi - non della strage, come avrebbero voluto i parenti delle
vittime - che per tutto questo tempo hanno accompagnato le indagini sulla
tragedia costata la vita a ottantuno persone, tra passeggeri ed equipaggio.
Il «tam-tam» a palazzo di giustizia è insistente: fra poche ore il giudice
istruttore Rosario Priore depositerà l’ordinanza di rinvio a giudizio, nella
quale vengono presi in esame tutti i misteri che hanno caratterizzato questa
vicenda. 
Il corposo documento, dedicato ovviamente alle posizioni degli alti militari
che all’epoca della tragedia ricoprivano posti chiave nell’Aeronautica,
comprende anche una lunga serie di archiviazioni dovute alla prescrizione
dei reati. Si parla di migliaia di pagine, comprensive di allegati, tabelle e
perizie vecchie e nuove. 
Difficile dire se sarà data una risposta esauriente ai tanti enigmi che hanno
contrassegnato questa brutta pagina di storia italiana: ci fu una vera
guerra fra i mig libici e gli aerei alleati? 
Il Dc9 dell’Itavia fu abbattuto per errore da un missile oppure dopo uno
scontro in volo con un altro velivolo? 
Fu una bomba collocata all’interno (forse nella toilette), a determinare
l’esplosione? 
Sono tutti interrogativi che i tre pm della Procura di Roma (Giovanni Salvi,
Settembrino Nebbioso e Vincenzo Roselli, coordinati dal capo dell’Ufficio
Salvatore Vecchione) lasciarono in piedi quando esattamente un anno fa
presentarono le loro richieste al giudice istruttore. I più informati dicono
che Priore non sembra prestare troppo credito all’ipotesi bomba e che
invece non avrebbe più alcun dubbio sullo scenario di guerra, cioè
sull’esistenza di un conflitto aereo intorno al volo di linea. 
E’ solo una indiscrezione, però. 
Allo stesso modo non è ancora nota la lista dei nomi degli ufficiali che
potrebbero essere rinviati a giudizio. I pm avevano puntato il dito contro
quattro alti ufficiali: i generali Lamberto Bartolucci (ex capo di Stato
maggiore dell’Aeronautica), Zeno Tascio (ex responsabile del Sios, il
servizio di informazioni segrete dell’Arma azzurra), Corrado Melillo (ex
capo reparto dello Stato Maggiore dell’Aeronautica) e Franco Ferri (ex
sottocapo di Stato Maggiore della Difesa). 
I pubblici ministeri si erano convinti che i quattro sapevano molto di quello
che capitò la sera del 27 giugno 80. Nonostante questo, avrebbero
preferito non dire nulla al Governo e agli inquirenti. «Non abbiamo mai
depistato le indagini», hanno sempre replicato i diretti interessati. 
Una richiesta di rinvio a giudizio, poi, era stata formulata anche nei
confronti di altre sei persone tra ufficiali e sottufficiali, per un reato
meno grave, la falsa testimonianza: Francesco Pugliese, Nicola Fiorito Di
Falco, Umberto Alloro, Claudio Masci, Pasquale Notarnicola e Bruno
Bomprezzi. 
Per gli altri numerosi imputati, invece, i magistrati romani avevano chiesto il
«non doversi procedere» o il proscioglimento (perché estranei alla vicenda
o per avvenuta prescrizione dei reati) dalle accuse di favoreggiamento
personale, abuso di ufficio, falsità ideologica, soppressione di atti e
calunnie.